di Giuseppe Longo
Quando si parla di vecchio Friuli e di civiltà contadina, immagini spesso scomparse e che riaffiorano soltanto nella memoria, pur talvolta sbiadite, il pensiero corre inevitabilmente a Otto D’Angelo, a quei quadri pieni di poesia, di luce e di tanti valori positivi, oggi non sempre avvertibili. Ma Otto, purtroppo, ha dato le ultime pennellate e se n’è andato in punta di piedi il giorno della Natività della Madonna per dipingere altrove, assieme alla sua amata Lisena che l’aveva lasciato poco tempo fa. E, ora, mi piace immaginarlo riproporre sulla tela con i suoi caldi colori i giardini del Paradiso. Aveva compiuto 95 anni a fine luglio, ma aveva ancora grinta, spirito creativo e idee per continuare a lavorare. E l’ha fatto fino all’ultimo, come ci hanno riferito le cronache, prima di essere accolto all’ospedale di Gemona per un improvviso aggravamento delle già delicate condizioni di salute. Il Friuli si unirà ai figli Auro e Flavia, con rispettive famiglie, per dirgli “mandi” domani martedì, alle quattro del pomeriggio, nella chiesa di Caporiacco, la piccola frazione di Colloredo di Monte Albano dove il pittore viveva, anche se era originario della non lontana Silvella.
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Ecco una bella scena di vendemmia in Friuli raccontata da Otto D’Angelo.
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Avevo fatto cenno alla innata creatività di Otto appena l’altra domenica, quando, in occasione della “Corsa degli asini” di Fagagna, avevo proposto la rilettura di alcune simpatiche pagine di storia della bella e avvincente manifestazione collinare. Il pittore era infatti un attento e sensibile cultore delle tradizioni del nostro Friuli e trasferiva nei suoi quadri tutto l’amore che riservava alle cose del passato. Quello che oggi possiamo ammirare a “Cjase Cocel” – e Fagagna, vale la pena ricordare, ha avuto un’idea geniale nell’allestire questo museo della vita rurale – lo ritroviamo puntualmente nei suoi dipinti, e anche di più. Perché ha saputo documentare con vera maestria tutti i lavori agresti che si facevano quando neanche la più feconda immaginazione avrebbe intravvisto l’arrivo nei nostri campi di macchine di ogni tipo.
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Lavori autunnali con la raccolta delle pannocchie e delle zucche.
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Un’opera preziosa, quella di Otto D’Angelo, perché ci aiuta a ricostruire innumerevoli quadretti di un’agricoltura che non c’è più – e non sempre con nostalgia perché, appunto, la meccanizzazione ha ridotto di molto fatica e sacrifici – e che merita d’essere fatta conoscere anche alle nuove generazioni. Si dice, infatti, a ragione che per poter guardare al futuro bisogna sapere qual è il proprio passato. Ed è quello che gli splendidi quadri di Otto ci consentono di fare.
Purtroppo, non ho avuto la possibilità di conoscere personalmente questo pittore friulano verace. Tuttavia, ho potuto spesso ammirare i suoi quadri, riprodotti anche su pubblicazioni e calendari, soffermandomi su dettagli e particolari che sempre abbondano. E quei paesaggi, quegli scorci dei nostri paesi, quelle scene di vita contadina, compresi comuni lavori domestici e semplici giochi di bimbi, nonché i flash sulla fervida tradizione religiosa nelle campagne, mi hanno aiutato ad aprire i cassetti della memoria e a riandare agli anni dell’infanzia: basta rivedere quelle immagini sulla vendemmia, ora che siamo in stagione, per rivivere ritmi – slow, si direbbe oggi – che non ci sono più.
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Il simpatico gioco del “truc” a Cividale, anche oggi tradizione di Pasquetta.
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Sono grato ad Otto D’Angelo perché con le sue opere mi ha aiutato ad amare ancora di più il mio Friuli. Ma anche il Friuli tutto gli deve riconoscenza. Ogni suo quadro è, infatti, un inno alla sua e nostra terra.
Otto D’Angelo riceve un importante riconoscimento in Provincia, a Udine, dall’allora presidente Pietro Fontanini. (Foto Nordestnews.com)
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